“Grazie”.
Raramente in vent’anni ho sentito una persona ripetere questa parola così tante volte come Federico Buffa ieri sera al Teatro Corso di Mestre, al termine dello spettacolo teatrale “Le Olimpiadi del 1936” di cui è coautore e assoluto protagonista.
Ringraziamento non ripetuto per circostanza o falsa modestia come si potrebbe tranquillamente pensare, ma puro e sincero, perché nonostante sia definito da molti il miglior narratore sportivo (giornalista è riduttivo) degli ultimi trent’anni e sia sostenuto da una schiera infinita di giovani che lo vede come modello massimo da cui trarre ispirazione nella vita, lui continua a definirsi un maledetto privilegiato affetto da sindrome di Peter Pan, che per qualche motivo si è trovato a realizzare tutti i sogni della sua vita, dal commentare l’NBA all’analizzare le partite del Milan, dal narrare storie di calcio al calcare i palchi di tutta Italia con uno spettacolo teatrale che mescola al suo interno storia e sport.
Formidabile narratore e attore (“ma cosa ve lo dico a fare?” cit.), nel corso della rappresentazione Buffa racconta le vicende storiche e sportive avvenute nell’agosto del 1936 durante i Giochi Olimpici organizzati e disputati nella Germania nazista di Hitler, accompagnato dal direttore musicale Alessandro Nidi al pianoforte, Nadio Marenco alla fisarmonica e la bravissima Cecilia Gragnani alla voce, che contribuiscono ad alzare l’asticella di un già di per sé straordinario spettacolo con intermezzi musicali di elevatissimo livello.
Nei due atti vengono alternate parti recitate in cui il nostro interpreta Wolfgang Fürstner, capitano dell’esercito tedesco a capo dell’organizzazione dei giochi poi spodestato perché di lontane origini ebraiche e quindi morto suicida, a monologhi in pieno stile “Federico Buffa racconta”, in cui vengono raccontate le storie di alcuni dei grandi protagonisti di quei Giochi, dalla regista Leni Riefenstahl al (letteralmente) genio del male Joseph Goebbels, passando per l'”architetto del diavolo” Albert Speer e concludendo con le straordinarie storie personali e gesta sportive dell’afroamericano J.C. “Jesse” Owens e del sud-coreano per nascita e sentimento ma giapponese per politica e medagliere Sohn Kee-chung.
Al termine dello spettacolo l’Avvocato (soprannome derivatogli dall’attività svolta negli anni ’80) si dimostra disponibilissimo a firmare autografi, scattare foto e scambiare due parole con noi presenti, ringraziandoci calorosamente per essere andati a vederlo e per l’affetto dimostrato, come se fosse lui ad essere in debito con noi per averci fatto spendere (bene) qualche soldo e sprecare un sabato sera in cui avremmo potuto fare altro.
Da quando ho conosciuto lui e la sua poesia sportiva, ho trovato finalmente una risposta precisa e concreta alla domanda che sovente ci viene posta da bambini “cosa vuoi fare da grande?”.
Da piccolo rispondevo giornalista sportivo, scrittore o professore perché ero indeciso tra le tre, oggi mi basterebbe rispondere “Federico Buffa” e per magia tutti capirebbero cosa intendo.
Buffa negli ultimi anni sta facendo capire al mondo che si può essere intellettuali di rango elevato anche parlando di sport, non solo argomento di chiacchiere da bar ma mezzo per analizzare, capire e approfondire la storia, prodotto culturale e antropologico da sempre presente nella vita dell’uomo al pari di religione, arte, letteratura, musica e filosofia.
D’altronde nell’antica Grecia gli anni si contavano prendendo come punto di riferimento le Olimpiadi, e a Roma aurighi e gladiatori erano venerati e guadagnavano alla stregua dei vari Messi e Ronaldo, Curry e James, Federer e Djokovic.
È per questi motivi che per me Federico Buffa è un idolo e un modello e non smetterò mai di ringraziarlo.
Sì, avessi avuto il qualche minuto in più per potergli parlare e avessi avuto le facoltà intellettivo-comunicative per mettere in piedi un ragionamento sensato in risposta al suo “Grazie di cosa? Grazie a te per essere venuto” gli avrei detto tutto ciò.
Per ora basta aver assistito al suo spettacolo e avergli stretto la mano.
Mi alzo e faccio due passi verso la finestra. Scosto le tende.
Per l’inaugurazione dei Giochi olimpici sta arrivando “l’aurora dalle dita di rosa”.
Citazione che sarebbe piaciuta al mio professore del ginnasio di Posen.
Sosteneva che Omero era stato il primo giornalista sportivo, quando aveva descritto le gare al termine dei funerali di Patroclo! Forse da quel racconto nasce il mio amore per l’agonismo?Federico Buffa con Paolo Frusca, “L’ultima estate di Berlino”
6 marzo 2016
Marco Del Longo